La nonna dello Zafferano

Da Bominaco il Monte Gorzano era ad un tiro di schioppo, o di sputo come amavano dire in paese.

Da lassù il mare verde in primavera era ben visibile, bastava aver pazienza che lo scudiscio della tramontana finisse di lisciare i faggi e le loro capigliature: Stefania imbracciò la sua Yashica e scattò uno, due, tre volte in direzione dell’altopiano di Navelli punteggiato di macchie di crochi, oro rosso che sua nonna Rosa conosceva sin da piccolina allorquando venne su con la madre Angela,  una montanara ruvida ed espertissima nella preparazione dei dolci allo zafferano.

La Cappella della Madonna dello Zafferano la obbligava ad una sosta. Non era il suo aspetto ad attrarre i curiosi quanto la leggenda del quadro che ritraeva una Vergine del 1500 come tante.
Stefania entrò oltre il piccolo nartece e prese a fotografar dettagli della pietra di quella che era stata, dicevano, un’antica taverna.

“Una notte vi sostò un pittore itinerante e squattrinato. Non avendo come pagare, si offrì di lasciare una sua opera e prese a ritrarre una Vergine, ma i pigmenti non bastavano”- la nonna modificava la leggenda, ne era certa: ogni racconto aveva un particolare in più rispetto al precedente.
“E sai cosa fece? Usò gli stimmi dei crochi; li sciolse nell’acqua” – le aveva solennemente narrato una vigilia di Natale, mentre lei pensava solo al volo dei fiocchi di neve sul mare di crochi.
Due falchi pellegrini presero a rincorrersi, fendendo l’aria con le loro ali.
Si allontanarono solo quando la jeep salì rumorosamente il tornante, il penultimo della lunga serie che occorreva percorrere e senza fermarsi, come voleva la tradizione, perché il “Diavolo ce la mette tutta per non farti raggiungere la Cappella”, precisava sempre la nonna.
“Salgo entro le 11 di venerdì e stai tranquilla che vado piano!”, poi aveva chiuso il cellulare.
Ma tanto le parole non bastavano mai per chetare le ansie della vecchina in attesa.
Nonna Rosa era l’ultima parente rimasta a Stefania. Lei aveva lavorato sempre lo zafferano e la sua consulenza per quel saggio all’Università le era preziosissima.
Si lavorava a 800 metri, curvati ad arco sui fragili fiori del Crocus sativus: Nonna Rosa, 70 anni da compiere ad aprile, era capace di cogliere anche due crochi al secondo tanto era svelta.

Stefania la chiamava “formichina” fin da quando aveva assistito a quelle prodezze quando aveva appena 11 anni.
La vecchia Rosa accolse la nipotina con un vassoio di dolci sul portone di quercia: aveva le gote rubizze per il vento.

( foto dal web )

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22 thoughts on “La nonna dello Zafferano

    • Ciao Emma, non sono una scrittrice, ma una giornalista.
      Forse questo spiega perchè amo prendermi cura del linguaggio e fare una scelta,di volta in volta, serrata.
      Ti ringrazio del complimento.
      🙂

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  1. Come sempre i testi di Mariantonietta si contraddistinguono per l’eleganza e la pertinenza dei contenuti.
    Molto bella e significativa la foto. Stimo tanto Nonna Rosa e m’incammino fra quei luoghi, respiro quell’aria e mi lascio baciare dal sole.

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    • Josè, ti faccio una confessione, visto che ci siamo: Rosa è il nome di mia suocera ed Angela di sua mamma, scomparsa nel 1973.
      Entrambi donne speciali…due formichine sempre al lavoro per la famiglia come tante nonne nel nostro paese, del resto.
      Quest’anno Nonna Rosa ( la mia) compie 90 anni.
      Ti ringrazio

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  2. forse una delle maggiori ricchezze delle generazioni che ci hanno preceduto e di cui siamo fortunatamente ancora testimoni diretti è costituita dal loro rapporto diretto ed intimo con la natura…

    il loro saper leggere il cielo, la terra, gli animali, ad esempio

    un dialogo profondo che li ha resi parte integrante del territorio, a differenza di noi che da un certo punto di vista siamo semplici turisti di una landa che parla una lingua straniera

    (questo mi ha evocato la lettura delle tue righe, Marzia)

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    • Ciao Parolesenzasuono. 🙂
      Cerco di trasferire empaticamente i contenuti miei reali e quelli psichici, i desideri.
      Credo che gli anziani stiano vivendo un grande smarrimento nell’oggi…sai…
      Lo dico perchè ho insegnato in due Università della Terza Età e mi ha addolorato vedere quegli anziani presi, spesso, solo da gite e gozzoviglie.
      Mi spiace tantissimo aver riscontrato atteggiamenti assai poco costruttivi, ma non do la colpa a nessuno, beninteso.
      Si tratta di modelli culturali.
      Basta osservare quanto, parlo della mia esperienza, essi non siano in grado di diventare testimoni. Se potessi dare un suggerimento al nostro Governo ( e se fosse in gradi di raccogliere le nostre isteanze!), lo inviterei a dare maggior peso a chi ha esperienza, ad evitare di incoraggiare e veicolare modelli culturali che inneggiano al giovanilismo becero e all’effimero: quanto un anziano può dare è tanto..se solo avesse spazio e si convincesse del suo ruolo!

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