Pane e vino posted by Adriana Pedicini

[This is a short story about our old life when we are children and were seeing how our grandmother was preparing the bread, the most important meal.]

Il sapore e il profumo robusto e sicuro del pane e quello allegro e spiritoso del vino  per la maggior parte dei nonni di oggi riportano all’infanzia.

Questa poggiava tutta e cresceva intorno ad una pagnotta di pane scuro, con su tanta farina bruciacchiata che, allungando le dita di nascosto, lambivamo come zucchero vanigliato.

Fette di pane asciutto, fette impregnate di vari sapori e altrettanti colori, morbide, tostate, annegate in ciotole di latte spumeggiante ancora caldo di tepore animale, frizzanti per una spruzzata di vino o talvolta di aceto, ricamate a ghirigori di filigrana di biondo olio, intrise degli umori aromatici delle nostre erbe, levigate con sfere succose di pomodori maturi. Puntuale e generoso era sempre lì il pane, nella credenza, unico alimento a portata di bocca.

La maga del sacro rito era la nonna Andreana. Le sue mani erano morbide e carezzevoli come piume, e con esse riusciva in brevissimo tempo a dare forma a una bianca palude di pasta lievitata che da tempo riposava nella madia, suddividendola in cesti di vimini. Questi, riempiti a metà, pian piano si andavano colmando fino all’ orlo, continuando la pasta a lievitare sotto un telo di canapa.

La nonna ne era gelosa in questi momenti e cercava in tutti i modi di liberarsi di noi ragazzini che, monelli dispettosi, tentavamo tutte le strade per starle tra i piedi. Poi furtivamente affondavamo le dita in queste morbide forme, osservando stupiti come i buchi impressi dalle dita subito scomparissero al rigonfiarsi spontaneo della pasta. Una volta però uno di noi si accorse per caso che sulla morbida crosta delle forme di pane adagiate nei cesti dopo la cottura, la superficie era raggrinzita lungo i bracci di una croce tracciata nel centro. Attingemmo allora il valore sacro di quel rito.

L’unica cosa che ci era permessa era quella di trasportare i panieri in fila, l’un dopo l’altro, lentamente fino al forno al momento della cottura.

Il forno a cupola occupava un angolo dell’ampia cucina, alla destra del focolare. Basso di cielo, era sufficientemente ampio per poter contenere fino a quindici o venti pagnotte in una volta. Uno sportello di ferro chiudeva l’apertura centrale, e uno più piccolo nascondeva la porticina laterale attraverso cui si spiava l’andamento della cottura.

Il forno veniva dapprima surriscaldato con legna ben secca che ardendo scoppiettava nel suo ventre lanciando lunghe lingue di fuoco all’esterno, su per la muratura annerita. Poi ne veniva ben bene spazzato il pavimento con fronde di rami freschi.

Quindi la nonna, dalle guance completamente rosse e cocenti, ci chiamava invitandoci a procedere piano. Come sacerdotesse sfilavamo compunte fino a deporre le nostre primizie come offerte votive sull’altare del forno.  E ancora con senso religioso si attendeva la magica trasformazione delle potenziali pagnotte in pane odoroso e croccante.

Finalmente apparivano una alla volta, regalmente, le forme d’oro brunito, croccanti, odorose. Ancora cocenti erano deposte in larghe ceste di vimini e ricoperte con panni di tela grezza tessuta in variopinte trame;così venivano trasportate nella stanza che fungeva da dispensa.

Questo avveniva perché le pagnotte non fossero toccate o maneggiate. Soprattutto dovevano essere desiderate in attesa che il pranzo collettivo ne richiamasse la legittima presenza sulla tavola profumata di lino fresco di bucato, sotto lo sguardo severo del nonno e la magnitudine della nonna. Un fiasco di vetro verde scuro adagiato in un cestello di vimini effondeva nell’aria un corposo profumo che a noi piccoli sembrava di cioccolato. Qualche volta ne assaggiavamo un sorso tra i sorrisi maliziosi del nonno e nostri ed le occhiatacce della nonna.

Mai più nella vita da adulti abbiamo sentito profumi così buoni capaci di dare sicurezza ed allegria. Il merito forse non è del vino, né del pane, ma degli affetti che sono volati via e permangono nel cuore come ricordo perché di vino buono per fortuna ce n’è ancora e forse anche di pane.

Diritti riservati Copyright 2011

 

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5 thoughts on “Pane e vino posted by Adriana Pedicini

  1. “Il merito forse non è del vino, né del pane, ma degli affetti che sono volati via e permangono nel cuore come ricordo “Ed così anche per me: sono comunque i profumi ed i sapori dell’infanzia che ci richiamano ad una stagione felice e spensierata della vita.
    Mi sono comunque ritrovata in quei gesti ormai antichi e non nascondo di aver provoto una garnde nostalgia.
    Complimenti! Auguri di Buon Natale:-)

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