La linea dello sporco

L’abitudine a non rovesciare i pitali in strada non è eradicata da molto. Anche in Europa e in Italia, a seconda del posto, si tratta dalle due alle cinque generazioni. Le fognature e la relativa depurazione, sono quasi un’opinione in non poche città, e quelle che, con sublime eufemismo, l’ingegneria idraulica chiama acque nere, vengono trattate, non di rado, per diluizione, in citta grandi e medie.. Dosi non proprio omeopatiche di dejezioni umane e animali circolano nei fiumi e mentre si discetta di BOD e carico batterico, queste allegramente sciacquettano le sabbie e gli scogli delle nostre spiagge. Non a caso un luogo, che serviva per purificare le acque di fogna vicino a Milano, erano le marcite (sic), dove l’acqua per filtrazione ed ossidazione all’aria, si depurava e ricaricava la falda. Nulla di straordinario, insomma, e noi, non è una notizia, pur lavandoci frequentemente mani e corpo, pur consumando migliaia di litri di acqua potabile sulla nostra pelle, con lo sporco abbiamo un rapporto che, puliti o meno, rimuoviamo dalla realtà. Presumiamo. Anche perché con diverso sporco si convive, e con molto, che sporco non è, si combatte senza indagare eccessivamente. Essere puliti significa pulire il corpo e ciò che vediamo attorno a noi. La nozione di sporco, pur ben presente da sempre, è mutata con il tempo e le latitudini, e in occidente la sua rimozione è diventata pratica distintiva della classe media. Le pratiche che si insegnano ai bambini, ovvero lavarsi le mani prima dei pasti ed in altre occasioni della vita quotidiana, e il lavarsi con frequenza il corpo, adesso è pratica di massa, un tempo, senza bagni in casa era più difficile per tutti. Del povero, per affrancarlo e testimoniarne la cura, si diceva quand’ero ragazzo, che era pulito, magari con le pezze al culo, ma lindo. Lindo è una bellissima parola ormai desueta, con il suo significato spagnolo di bellezza visibile, ma che nei miei anni di ragazzo ancora si diceva. Mia madre la usava, e notava se frequentavo qualche ragazza dalla frequenza con cui mi lavavo. C’è anche un rapporto eccessivo con la pulizia che è indice di qualche altra carenza, ma in genere ci si lava di più di un tempo. Da mediamente pulito, quasi igienista, ho cominciato a notare la linea dello sporco, viaggiando, e rendendomi conto che nella nostra testa, il pulito coincide con la civiltà europea (e con la civiltà giapponese) e che la linea dello sporco si abbassava nel tempo, ad esempio nella nostra penisola, fino ad uscirne. Seguendola la vedevo abbassarsi nei Balcani, in Medio Oriente, adesso la percepisco frastagliata  in Africa, in Sud America. E’ una linea in movimento e seppure i mal di pancia non si riescano ad evitare, è evidente che il pulito è aggressivo e conquista nuovi territori.  L’industria dei detersivi ha aggredito lo sporco e il pianeta, con eccessi visibili su qualunque spiaggia, troppo in alcuni posti,  ma ciò che m’interessa qui, è il rapporto con lo sporco e con la sua idea. Ogni volta che vado in un paese un po’ precario dal punto di vista dell’acqua, l’ Africa, ad esempio, mi accorgo che abbasso il livello di nozione di sporco.  Non essendoci acqua mi disinfetto con quei gel che la sostituiscono, e chiunque li provi sa che la sensazione di unto resta, le mani appiccicano, ed appiccicoso nella nostra testa equivale a sporco. Ma anche polvere e terra equivalgono a sporco, così il fango, l’acqua di fiume, invece la sabbia viene assolta, l’acqua di mare e la schiuma che produce un sapone, sembrano pulite. Non è vero, e molti concetti di pulito nei paesi privi d’acqua, o quasi, si rovesciano. L’acqua serve per bere, ci si lava con acqua non potabile, il dubbio se lavarci i denti con acqua del rubinetto ci assale ogni volta, cerchiamo angoli d’occidente, oppure abbandoniamo le idee di casa e cerchiamo di capire di cosa si tratta. Un corpo lucido di burro di caritè sta bene al sole, ed anche all’ombra, e non è unto, la polvere non è sporca e si scuote dalle mani e dagli abiti, i vestiti vengono lavati con saponi spesso naturali ed in acque che è meglio non indagare, ma i vestiti non si mangiano. Lo sporco si trasferisce dalla superficie a quello che si manda dentro, si cerca di capire se è buono o cattivo per noi. Ciò che non fa male è buono, ciò che è sulla pelle e non puzza è buono e così via. Nella battaglia per la sopravvivenza, parlo proprio di vita per chi abita in questi paesi, il pulito avanza e retrocede, dipende dai fenomeni atmosferici. Il limite delle enteriti potrebbe essere un buon confine, farle arretrare significa aver confinato lo sporco, quello cattivo non quello delle nostre teste. In un’osteria di Cheren in Eritrea ho mangiato youghurt di cammella, pane cotto sulla pietra arroventata ed era buonissimo, oppure potrei parlare di una visita inopinata in una cucina dove si cucinava alla dancala, il pesce era squisito, ma meglio non indagare sulla confezione del cibo, sulla pulizia dei contenitori e delle mani di chi lo confezionava. E’ andata bene. Due mesi fa mangiare nei villaggi, nel sud del Senegal, direttamente con le mani, non ha fatto male a nessuno, ma poteva accadere, semplicemente si era disinstallato il controllo del pulito e ci si adattava, d’altronde una forchetta chissà con che acqua è lavata visto che non ci sono acquedotti, né fognature. Meglio le mani. Forse. Credo subentri una accettazione passiva, per noi che conosciamo i rischi, si spera, per chi ci vive semplicemente non ci pensa, non è quello che fa venire l’enterite. Ed è quella, invece la parte cattiva del villaggio, quella da cui tenere distanti i bambini. In questi casi subentra la nozione di sporco che avevano i nostri nonni, ben presente negli studi medici quand’ero bambino, lo sporco è quello che fa ammalare, il resto è compatibile ed è fatto di acqua sul corpo, sulle mani. In Senegal c’è un’abitudine molto musulmana, quando si vanno a fare i propri bisogni, anche nella savana, si porta con sé l’acqua per lavarsi le mani e il resto. Nei bagni degli alberghi si trovano delle strane teiere di plastica variopinta piene d’acqua, servono per lavare le parti intime, anche se non c’è traccia di sapone. La funzione purificante dell’acqua è arcaica, non pulisce solo il corpo, ma anche la funzione e non ha bisogno di sapone. Anche prima della preghiera ci si lava, i piedi e le mani. L’idea del pulito è qualcosa che con attenzioni diverse circola ovunque, un buon motivo per ripensare alla superiorità delle culture, e la cultura dell’acqua ci permette di capirci subito e porta a far arretrare quella linea di cui parlavo. Forse per questo i pozzi sono necessari, non solo per bere, ma per consolidare la linea del benessere, contro quella dello sporco della parte cattiva che fa star male. 

Quest’anno spero ci si concentri anche su questo a sud di Kolda, con la onlus, un paio di pozzi, magari con pompe a pannelli fotovoltaici, potrebbero essere un buon contributo per mettere un confine nuovo e far vivere meglio. Ne discuteremo con chi ci abita da quelle parti. Vi dirò.

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