I campi sorvegliavi
pure d’inverno,
nell’attesa della neve
che concimava il campo
solo di speranza,
per l’azzardar
della primavera.
Tu ,vecchio pazzo,
udivi il crepitar della terra
nel germoglio che tenero
la rompeva
di nuova forza
e nello stupore del cuore
cantavi vittoria
guardando le palme
delle tue ruvide e nodose mani
che l’avevano sparsa.
Il cielo poi …
si lasciava cadere
nella pioggia
e di gratitudine
si riempiva il volo degli uccelli
nello sfilacciarsi della tua attesa
che si spendeva fino là dove
non solo lo sguardo si confondeva.
Poi l’ispido frutto
inondava la terra
e si muoveva al vento
nella sua onda d’oro,
mentre punteggiavi di papaveri
e di richiami a nuovi stupori
l’anima in torpore.
Al vello d’oro rispondeva
la maturazione del pane
e alla falce tagliente
il tribolar di tanta grazia.
Fuochi brillavano poi nell’autunno
con lingue tremolanti le lor faville
parlavano il tuo ringraziamento
al buio più tetro.
Adagiato stanco nel rossore
delle tue foglie morte
con venuzze a tracciare
tortuosi disegni…
ritornavi a sorvegliare i campi
seduto al freddo
in compagnia del cane
e sotto il nudo olmo.
Poesia candidata al Premio internazionale di poesia Piccapane
Sempre bello quest’amore radicato nella terra, e che ritorna nei versi dove il sentimento viene sciorinato con semplicità e
profondità di senso come panni al sole con la neve che ” coltiva la speranza ” e il custode sempre presente.
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Un incanto, un amore per la natura che traspare in ogni verso. Forse però, l’eccessiva lunghezza dovuta all’analisi di TUTTE le stagioni, gli fa perdere il bel ritmo che ti prende all’inizio.
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