“L’incontro” by Elisa Marchinetti

Ll'incontro nei girasoli (Lorenzo Terreni)

Ll’incontro nei girasoli (Lorenzo Terreni)

“Ancora posta! Altre bollette! Telefono!? ..tassa dei rifiuti…Gas…Ma sì!” La voce della  donna  assumeva un tono via via più greve ed al contempo rassegnato,mentre le sue dita affusolate estraevano da una vecchia cassetta della posta dall’aria dimessa un plico di buste.

Le aveva  intraviste spuntare da quella minuscola apertura metallica e già ne conosceva,o meglio,  ne intuiva il contenuto. Ora le teneva tra le mani, mani grinzose e trascurate, dello stesso colore del mosto acerbo,  con i segni evidenti di una vita trascorsa nell’affanno.

I suoi occhi ambrati, offuscati da  lunghe ciglia, un tempo unico suo vezzo, seguivano quei movimenti lesti e ne interpretavano l’angoscia.

“Soldi, altri soldi!!!”sembravano volessero dire quelle occhiate espressive , come saette lanciate a squarciare la volta azzurrata del cielo.

Richiuse il cancello con un tocco sgarbato,senza nemmeno girarsi a controllare che il battente avesse trovato la sua giusta collocazione, poi si portò una mano sulla fronte solcata da un reticolo di lunghe e sofferte rughe ,quasi  a cercare un riparo dagli ultimi avvenimenti. Già, quelle lettere, quegli ordini di pagamento aggiungevano sale ad una ferita da tempo aperta, i cui lembi non avevano ancora accennato a richiudersi e forse avrebbero tardato a formare una  sottile, ma profonda cicatrice.

Mentre i suoi pensieri , tramutatisi in ossessioni quotidiane,la seguivano come ombre fedeli,il sole, ormai languido, abbracciava i rilievi lontani esaltandone le semplici linee con sfumature dorate e trascinava lento la sua fine in un aurea soffusa di indaco.

Nella via,sorta alla periferia di un  piccolo centro che andava affermando sempre più se stesso a ridosso della campagna ormai deserta e ai margini di una città in fibrillazione, gli ultimi operai  usciti alla rinfusa dai capannoni del quartiere,s’affrettavano a rincasare.

L’asfalto,corroso qua e là dall’incuria,trasudava una sensazione di stanchezza,quasi di attesa.

L’aria si era fatta più lieve in quegli ultimi giorni di Aprile e liberava forti emozioni e sprigionava nuove sensazioni.

A Liliana il ciclo delle stagioni non ridava l’energia di cui le sue membra necessitavano,anzi pareva averla intrappolata in una sorta di Inverno perenne.

Seduta sui gradini di casa  si passava e ripassava la mano destra sul viso,dapprima entrando quasi con foga negli incavi  delle rughe  come a marcare ancora di più il solco delle tribolazioni,poi strofinandosi le tempie con meccanici movimenti circolari,mentre lo sguardo si posava  velatamente sulle primule in fiore. Un leggero colpo alla schiena la riportò al presente ;poi un guaito tenero e carico d’affetto le  fece girare gli occhi  a cercare la compagnia sicura, femminile, silenziosa e comprensiva di Laika, un pastore tedesco capace di raccogliere tutti i suoi umori.

Una zampa sporca di terriccio le si posò sulla spalla sinistra e la costrinse ad occuparsi del presente.

“ Forza, la pappa!”

Era stato per caso.

Era accaduto d’Autunno,in un pomeriggio che si beava lento degli ultimi sospiri di un sole estivo ancora tenacemente caldo e che rilasciava alla terra un alito placido e sognante.

Si erano incontrati lungo un sentiero che abbandonava la strada principale per inoltrarsi nei campi, appena a ridosso del piccolo centro abitato, ma già parte della campagna con i suoi cascinali sparsi e distanti l’uno dall’altra  una manciata di kilometri, quasi  a difesa di un territorio e della propria intimità  agreste.

“Quasi per caso” era solita ripetersi Marisa  ripensando a quel momento,dando a quell’espressione il sottile significato fatalista ,dove ognuno in un gioco a rincorrersi, sembrava in cerca dell’altro, di un sostegno ,di un affetto sicuro.

Dopo l’ennesima ed estenuante lite la donna aveva deciso di uscire da quella  casa  diventata ormai asfissiante ,dove ogni parola, ogni pensiero ,ogni vagito di un ‘idea veniva sepolta, schiacciata, umiliata.

Una passeggiata all’aria aperta l’avrebbe  aiutata a deglutire le umiliazioni , quanto meno a relegare nel profondo quella spossatezza psicologica a cui non era più capace di reagire o ,forse, a cui non voleva più erigere barriere difensive.

Senza nemmeno riflettere sugli indumenti che indossava, certamente più adatti ad una tranquilla routine quotidiana, si era incamminata lungo la pista ciclabile che fiancheggiava la sua via ,incurante delle auto che le transitavano accanto e degli scooter lanciati a tutta velocità sul rettilineo, schegge impazzite di gioventù , procedendo nervosamente, discostandosi e oscillando spesso dall’immaginaria linea di mezzeria come ad  inseguire il flusso dei suoi pensieri.

Giunta nei pressi di un cavalcavia aveva esitato un poco prima di attraversare la strada ed immettersi nello stradello: il traffico a quell’ora era intenso e quello era un punto pericoloso, teatro nel passato di vari incidenti.

Mani sui fianchi e sguardo lungo ed attento aveva guardato prima a destra, poi a sinistra prima di accelerare il passo e scavalcare un catenaccio arrugginito che delimitava la proprietà privata di quel viottolo. Filari paralleli e cambi improvvisi di colori segnalavano il confine dei vari appezzamenti agricoli che rispondevano al lavoro costante dell’uomo con raccolti rigogliosi durante l’anno.

Quel tripudio di colori e odori autunnali la inebriavano e,a volte, sostava qualche minuto a rimirare la magnificenza della Natura in quella stagione. Anche quel giorno si era avvicinata ad un vitigno ed aveva posato lo sguardo sugli ultimi graspi rinsecchiti e su un paio d’api che vorticavano nei paraggi, indecise sul da farsi ,quando un fruscio la spaventò: rimase in vigile ascolto e con il cuore al galoppo per lunghi ed interminabili secondi,  poi lo sentì di nuovo ,più distintamente. Si fermò ed attese. Di nuovo quel rumore , ora più vicino a lei : passi struscianti su un letto di foglie secche.

Non fece in tempo a fuggire che  un  muso di un cane, imbrattato di terriccio, sbucò da un filare e sollevò lo sguardo verso di lei. Due occhioni vispi e teneri, screziati da pagliuzze dorate la stavano osservando, mentre la coda si agitava freneticamente ed in modo cadenzato, manifestando la gioia di  quell’incontro.

4 thoughts on ““L’incontro” by Elisa Marchinetti

  1. Provo a fare un rapido riassunto: signora anziana e maldisposta a pagare le bollette (forse perchè povera e presumibilmente abbandonata o andatasene da qualcuno?). Ambiente di periferia urbana -città in fibrillazione-, mezzo villaggio mezza campagna. Mese di aprile. Appare il cane a consolarla. Racconto di come la signora anziana e il cane (femmina) si sono incontrati. Conclusione brusca, anzi troncamento. Il racconto accenna, offre spunti, ma non li sviluppa: ad esempio perchè essere così incisivi e perentori sulle bollette da pagare e poi non spiegare almeno un po’ perchè affannano la povera donna? E quali sono i suoi pensieri, le sue ossessioni quotidiane? E quel sole che “trascina la sua fine” in un (senza apostrofo) aurea (non è meglio “aura”?) per di più soffusa di indaco: la fine di chi, del sole? Si può dire che un sole trascina la sua fine, o non è un’ immagine un po’ troppo ardita? E in quell’aria che “libera forti emozioni” e “sprigiona nuove sensazioni”, pur essendo “più lieve”…non vi è un po’ di contraddizione? L’anziana rugosa (orribilmente rugosa, a quanto pare) ha dita “affusolate” ma mani “grinzose e trascurate”. E di che colore è un “mosto acerbo”? La protagonista si chiama Liliana o Marisa? Ad ogni modo se ne va da una casa dove la umiliavano soprattuto perché “ogni parola, ogni pensiero,ogni vagito di un‘ idea veniva sepolta, schiacciata, umiliata”: sia pure, ma bisogna fare un po’ d’attenzione alle concordanze di genere… se si tratta di un vagito, bisognerà scrivere sepolto, schiacciato etc. Vediamo la protagonista poi, incurante del proprio abbigliamento, più adatto alla “routine quotidiana” che a una svagata passeggiata campestre, che se ne va, sprezzante del pericolo lungo la mezzeria di una strada molto trafficata con “schegge impazzite di gioventù” e, le mani sui fianchi, si guarda attorno prima di attraversare…E’ possibile certo, ma insomma poco consigliabile. Entra audacemente in una proprietà privata, ma vi si inebria dei profumi e dei colori autunnali soffermandosi accanto a un “vitigno” (non era meglio ” pianta di vite”? “Vitigno” è la varietà agronomica della vite, come ad esempio Barolo, Barbaresco, Chianti, Sciacchetrà, non la pianta in sè..). Curiosa l’immagine delle api che vorticano “indecise sul da farsi”. Poi il subitaneo terrore dei passi che si avvicinano e infine la comparsa rasserenante del cane dai grandi occhioni che saprà, come detto sopra “raccogliere tutti i suoi umori” ma di cui non si dice altro. Conclusione brusca. Ci sarà un seguito? Ad ogni modo suggerisco un esercizio di semplificazione del lessico, troppo spesso artificioso e inadatto al contesto, e magari qualche passaggio di raccordo tra un pensiero e l’altro equilibrando meglio il peso di ciascun periodo della narrazione. Auguri comunque.
    P.s. E’ buona regola “tipografica” inserire i segni di interpunzione al termine della parola e far seguire lo spazio.

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  2. condivido con i miei 2 predecessori…. però l’amore per i cani mi fa essere un pò faziosa..io amo i cani….-Due occhioni vispi e teneri, screziati da pagliuzze dorate la stavano osservando, mentre la coda si agitava freneticamente ed in modo cadenzato, manifestando la gioia di quell’incontro.- mi fanno sciogliere e non mi fanno pensare a recensire il testo…..le bollette poi sono terribili sia x i ricchi che x i poveri!!!! sono una mazzata….

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